Il Living Theatre nasce come gruppo teatrale d'avanguardia nel 1947 a New York per opera di Julian Beck, pittore e poeta dell'espressionismo astratto newyorkese, e Judith Malina, attrice statunitense allieva di Erwin Piscator. Il suo “manifesto” comincia con l'abbattimento delle famose “barriere invisibili” tra palcoscenico e platea, partendo dalla scenografia e dai costumi con l'intento di provacare e aggredire lo spettatore piuttosto che di fornire certezze o distrarre. Dopo una serie di lunghi successi di spettacoli teatrali (The Apple di Gelber nel 1961, Antigone di B. Brecht da Sofocle nel 1967, Frankenstein nel 1965 e Paradise Now nel 1968) molti dei quali in Europa, dove il gruppo si trasferì tra il 1964 e il 1968, avviene una separazione del gruppo in quattro realtà indipendenti, rispettivamente negli Usa, in Brasile, in Europa e in India. Cathy Marchand si inserisce nel gruppo del Living alla fine degli anni 70.
Cathy Marchand, allieva di Jean Louis Barrault al Théatre d'Orsay, comincia il suo percorso artistico molto giovane grazie all'incontro con l'attore Pierre Clemènti che la conduce a Roma dove conosce Judith Malina e Julian Beck e con i quali inizia a lavorare come attrice del Living Theatre. Gli incontri nella vita dell'attrice sono molto importanti, si passa da Pasolini, Sergio Citti, Gianmaria Volontè, Fellini e Dino Risi con i quali lavora.
Alla morte di Julian Beck, Cathy Marchand rientra in Europa e comincia a lavorare “en solitaire” cercando di trasmettere le proprie esperienze del Living alle giovani generazioni. Di seguito alcuni estratti dall'intervista:
«In Italia con il Living inizia quello che si chiama “Teatro di Guerriglia” o detto anche “Teatro dell'eredità di Caino”. L'eredità di Caino era questa triologia di spettacoli, due di strada, all'aperto “l'attore del denaro” creato alla Biennale di Torino e “Sette meditazioni sul sadomasochismo politico” legato all'esperienza brasiliana, dunque alla tortura, alla liberazione della donna rispetto alla società, come un rituale e “Sei atti pubblici” uno spettacolo di tre ore per la città dove si andava, dunque si andava davanti al municipio, davanti all'ospedale, davanti alla prigione, davanti alla piazza principale, davanti alla banca, e con una serie di interventi performativi si interagiva anche con la gente che seguiva come una processione questo spettacolo evento. Io sono entrata alla fine degli anni '70 e ho preso parte a “Sei atti pubblici”. La performance finiva con la processione dell'amore, una processione liberatoria e il pubblico seguiva questo spettacolo legato ad un certo numero di rituali come il denaro, la liberazione dei prigionieri, la liberazione dalle strutture e dalle catene che la società impone, si finiva sempre davanti al carcere della città».
Nello specifico questo tipo di performance cosa prevedeva? Come si strutturava
tecnicamente? «Erano una serie di coreografie fisiche, dunque molto legate al corpo, molto legate anche a delle scenografie viventi, dunque attraverso i nostri corpi creavamo quello che in maniera superficiale si chiama “Tableaux vivants” e si andava poi in movimento con dei movimenti molto legati alla Biomeccanica di Mejerchol'd, che è stata molto importante per il Living Theatre, come anche davanti alle fabbriche loro cominciavano a fare queste perfomance in America, a Pittsburgh, con il famoso movimento del supporto allo sciopero detto “Je Je Je”, creato nelle performance davanti alle fabbriche in America, dunque, il corpo era l'elemento principale, poi c'erano dei testi
creati da Julian Beck e Judith Malina e anche da altri attori del Living che andavano poi molte volte a seconda dei luoghi dove andavamo».
Le istituzioni come rispondevano a queste performances? «Non bene. Ti creano sempre una serie di problematiche perchè tu stai occupando un suolo pubblico, e infatti anche “noi” quando facevamo i “sei atti pubblici” specialmente anche in Svizzera, in Francia, dovevamo avere sempre molti permessi perchè sennò ti bloccavano subito […] però insomma poi c'è sempre una mediazione che deve passare attraverso la politica,attraverso delle figure istituzionali».
I messaggi che si tenta di trasmettere con questo tipo di performances sono molto forti e alle volte determinanti nel cambiamento delle situazioni sociali oppure restano fini a se stessi? «Io credo che nel momento in cui lanci delle denunce o dei messaggi che vanno a toccare la gente nella loro quotidianità, perchè che si parli di lavoro, che si parli dello sciopero, che si parli della condizione della segregazione del malato psichiatrico, o del prigioniero politico o di tutto questo è la vita della città no? C'è un altro spettacolo
perfomativo creato da “noi” negli anni 90 a Sarajevo e a Belgrado che era “Un giorno nella vita della città” e questo si creava con la popolazione,andando nella piazza
principale e si metteva in scena una perfomance creata con il sistema del “Cadavre Exquis” come testo e si creava con le persone che partecipavano allo stage preparatorio che erano persone del popolo e non necessariamente attori. Il Living non ha mai dato una selezione, si sono avvicinati al Living, postini, medici, bancari e avvocati (ride) nel corso del tempo».