Donna Rosita Nubile o Il Linguaggio dei Fiori è il dramma in tre atti di Federico Garcia Lorca andato in scena il 6 e il 7 Dicembre al Teatro Furio Camillo di Roma (Qui la presentazione) adattato e diretto da Antonio Nobili maniaco seriale Lorchiano. Siamo a Granada, fine ottocento. Lo spettacolo si apre con una Martina Milani qui fresca e pulita proprio come il suo nome "Rosita" che ci ricorda un piccolo bocciolo di rosa. Corre da un parte all'altra della casa degli zii cercando oggetti smarriti, ride e scherza e lo fa con tutta la semplicità di un'orfana cresciuta con l'amore per le piccole cose e per il prossimo. La storia d'amore eterno giurata con il cugino Riccardo Merlini (da noi recensito come regista di Uccelli del Paradiso) che riesce a interpretare il personaggio con la passione e l'ardore che un testo del genere richiede, sembra finire presto. Infatti il cugino di Rosita deve presto ripartire per Tucuman in America per aiutare l'anziano padre ad amministrare le proprietà di famiglia ma, prima di farlo, promette a Rosita di tornare a sposarla e lei di attenderlo per sempre. La scena appare calda e allo stesso tempo struggente, rappresenta il crollo delle certezze, la personificazione dell'attesa che dura per venticinque lunghi anni. Anni che Rosita trascorre chiusa nella fede, senza mai uscir di casa, rifiutando i continui rampolli che la vorrebbero moglie, vedendo le amiche sposarsi e tutta la vita passargli davanti agli occhi: "Hanno già fatto in piazza una casa nuova", grida. L'interpretazione della Milani in questa pièce è Magistrale. Degna di nota è la passione per la "botanica" dello Zio di Rosita (Alberto Albertino) che nella sua serra coltiva varie specie di Rose ma, quella alla quale è più affezionato è la "mutevole" che "al mattino è vermiglia, alla sera bianca e la notte si sfoglia", è perfetta, dura un giorno, come Rosita. La sua passione è così maniacale che taglia una rosa come presente solo alla notizia della richiesta di "matrimonio per procura" da parte del cugino alla nipote. Il festeggiamento è uno dei momenti più esilaranti del dramma. La presenza delle tre "manole" (Lorenza Sacchetto, Sara Signoretti qui, Lily Lauria) assolutamente pertinenti, talentuose e agili nella danza, e delle tre "zitelle" (Mary Ferrara, Andrea Guerini, Rossella Morese) del tutto piccate e trash da vincere sulla Ripa di Meana stessa, rende tutto molto più leggero e ironico e, suscita tra i presenti grasse risate soprattutto grazie alla coppia Guerini-Ferrara che a tratti ricorda il duo comico inglese "Stanlio e Ollio". La madre delle Zitelle poi Cristina Frioni lascia il pubblico sbalordito per la naturalezza con la quale "gioca" a far la "ciucca tradita". L'attrice è di una credibilità notevole tanto che si sente dalla platea "Lei è brava eh" od "ahah forte". Il personaggio di Don Martino interpretato da Marco Fioravante è studiato bene ed è "puro genio incompreso" tanto che il pubblico almeno nell'ultima replica, non reagisce: è la risata che "non parte" ma che "fa ridere". Divertente e forse anche "troppo" il piccolo cameo di Alessio Chiodini che lascia il segno con poche battute. La scenografia è minimal, semplice, è il fiore, è la serra, è per pochi. L'idea registica è assolutamente in linea con la resa e la magia emotiva che il Nobili riesce ad attivare negli occhi di chi guarda. E allora quando muore lo Zio di Rosita, con lui se ne vanno anche i mobili ipotecati dallo stesso perchè "troppo buono" - come la moglie stessa definisce - e con loro rimane un senso di vuoto, di povertà. Ciò che resta per la nostra "Rosita" è solo la verità dei ricordi perchè ormai vecchia, non può che cullarsi di essi.
Pablo Cortez
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